#il silenzio delle ragazze
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mucillo · 12 days ago
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Alba Carla Laurita de Céspedes y Bertini (Roma, 11 marzo 1911– Parigi, 14 novembre 1997) è stata una scrittrice, poetessa e partigiana italiana, autrice anche di testi per il cinema, il teatro, la radio e la televisione. "Clorinda" è stato il suo pseudonimo radiofonico e il suo nome di battaglia da partigiana.
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“30 maggio 1968”, scritta in francese, è la poesia più rappresentativa di “Le ragazze di maggio”. Alba De Cespedes è a Parigi, nel Quartiere latino, nei giorni del maggio francese e segue e partecipa al movimento degli studenti cogliendone novità e spirito sovversivo.
......
Stasera, il nostro quartiere, sulla riva sinistra,
piange la perdita dei suoi sogni.Dietro le finestre senza luce
– orbite nere nelle facciate chiare – occhi vuoti
fissano le strade deserte.
Un’altra sera, l’ultima,
saremo tra noi: pazzi d’amore e di rivolta.
Questa riva sarà ancora nostra;
solo per noi, prigione, ghetto,
colonia di lebbrosi.
Rimarranno sulla loro.
Non oseranno attraversare
il confine della Senna.
Riconoscono il nostro diritto
a questa veglia funebre,
a questa libertà
sorvegliata – da lontano –
da un esercito che veglia
anche osservando
il nostro silenzio sprezzante,
inquietante.
Nel Quartiere Latino, gli studenti
sorvegliano il cortile
della Sorbona.
La piazza dell’Odéon
abbraccia
rotonda
questa bella notte di primavera.
Le parole dei graffiti
che adornano le facciate
circolano come un “testamento”
tra i tavolini dei caffè-tabacchi
sul Boulevard Saint-Germain.
Nelle nostre strade, colpevoli
di complicità,
i sampietrini divelti
sono stati frettolosamente sostituiti,
gravemente.
Sulle mani dei giovani,
sulle pietre del loro cammino
che domani rotoleranno,
dall’altra parte,
verso il rassicurante fine settimana.
Nelle loro soffitte
intorno alla Sorbona,
nelle stanze delle cameriere
tappezzate di manifesti
– lo sguardo fiero del Che,
ragazzi e ragazze, armati
di poesia e di rabbia,
fanno l’amore con piacere
disperato,
bagnati di lacrime.
Ragazzi con i capelli lunghi,
le ragazze con le gonne corte
sono i cittadini delle nostre strade
della riva sinistra.
L’odore acre dei loro corpi di scolari,
è l’aria stessa del nostro quartiere.
Ovunque nel Sixième
sono affissi volantini
sotto forma di poesie.
Domani mattina al mattino presto
saranno coperti di pubblicità
di lavatrici e frigoriferi.
Le rondini del Lussemburgo
gridano il loro addio.
Dalle rive del boulevard
un’ultima zaffata di gas;
ma non ne resterà nulla
quando arriveranno dall’altra sponda
per essere fotografati,
sugli scheletri delle auto bruciate.
O nostri figli di maggio,
eroi di notti crivellate di stelle
e percosse.
Ferro e acciaio si oppongono
alle rose dell’immaginazione.
Ai crocicchi, lungo i viali
occhi che trafiggono
sui tetti delle auto della polizia
cesti di insalata, ambulanze,
uomini vestiti, con il casco,
mascherati di nero, scudi neri;
l’intera panoplia sinistra
di repressione è pronta
contro una rivoluzione
che non avrà mai luogo.
I cavi telefonici
attraversano il cielo silenzioso:
Littré, Odéon, Médicis
non rispondono stasera.
Dietro le nostre finestre chiuse,
vicino a telefoni muti,
e transistor spenti,
guardiamo in silenzio
le nostre speranze deluse.
Ma i gesti dei nostri figli
di maggio
rimangono – indelebili – nell’aria
nel tempo, nello spazio
di questo quartiere,
sulla riva sinistra.
"30 maggio 1968."
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solosepensi · 4 months ago
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Ragazza che non ho, ti ho già scritto una volta. Ero più giovane dentro e fuori, sognavo che dal buio fiammante della radio potessi uscire tu, con il mio S.O.S. di carta fra le dita,e uno di quei sorrisi che sembrano dire “Perché ti meravigli tanto? Non hai mai visto uscire una ragazza da una radio?”. Avrei guardato le tue gambe svelte scavalcare la finestra nera della radio, ti saresti lasciata ammirare quel vestitino di carta giapponese, con i fiori d’ acqua e tutti i miei problemi si sarebbero accucciati in un angolo come un cane pentito, perché avevo osato dubitare della materia dei sogni. Vedi, ragazza, credere nell’impossibile è stato la causa dei miei guai e delle mie grandezze. Ho puntato su tutte le roulette, sono andato in spiaggia con le scarpe d’inverno e mi sono steso in cappotto davanti al mare bruciante. Disprezzavo i luoghi comuni. Così non ho mai smesso si credere che esisti, che esistono ragazze che escono dalle radio con i vestiti a fiori. Ecco perché ti ho scritto e imbuco questa lettera nell’universo. Non sono così sciocco da credere che tu non verrai mai ( i miracoli sono più reali dei soldi), la verità è che temo di deluderti. Sono scorbutico, gonfio di dubbi e non ho mai imparato a ballare. Ti annoieresti, temo, e dopo qualche minuto di silenzio mi diresti “Usciamo?”. Ma non mi va di uscire, stasera in televisione c’è il mio documentario preferito, di la cena è apparecchiata per uno. E poi ho l’ansia da prestazione, va bene? Tu hai fatto l’amore fra le stelle, io in letti di serie B, che la sigaretta dopo era l’orgasmo. Non credermi, ragazza che non ho, questo è un vecchio gioco: provocare i miracoli e smettere di stupirsi l’attimo seguente. Se a questo punto te ne andassi via, sarei perduto.Siamo mezzi uomini,mezzi maghi, eterni bambini. Non credermi basta, portami fuori. E’ una serata così dolce. Ci sarà pure da qualche parte una balera deserta dove potrai insegnarmi il ritmo semplice e misericordioso della vita. Ragazza che non ho, stanotte saremo in tanti ad attenderti, lo sai? Fai così, non pensare a me, a forza di credere nei miracoli io ho imparato a reggerne l’assenza. Ma uno, questa notte, uno almeno di noi fallo felice.
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lamargi · 4 months ago
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Sempre avuto un rapporto molto forte con mio nipote. Forse perché sostituisce il figlio maschio che non ho avuto.
Lui parla e si confida con me molto più che con suo padre e con sua madre, mia figlia. Mi ha sempre raccontato i suoi sogni, le sue idee, le sue emozioni, i suoi problemi. E, da quando è diventato grande, è a me che racconta le sue cotte e le sue delusioni d’amore.
Il mio tesoro non ha fortuna con le ragazze. Saranno le ragazze d’oggi, che disprezzano i suoi modi gentili, timidi, la sua dolcezza. Quante volte ha pianto raccontandomi dei suoi amori non corrisposti. Eppure non è brutto, è solo impacciato. Da nonna l’ho confortato e incoraggiato. Quante volte l’ho stretto a me e accarezzato.
“Dovrei trovare una ragazza come te, nonna…” mi dice. “Sono solo una vecchia signora…” replico. “Sei bellissima, invece….”
Che tenerezza queste parole. E che piacere notare quando mi guarda, non di rado le gambe, e che tenerezza quando gli faccio capire che mi sono accorta e diventa tutto rosso. E che languore mi viene quando lo abbraccio stretto….e sento che si irrigidisce per evitare di stare troppo a contatto con me….”come vorrei trovare una ragazza che mi abbracci come fai tu, nonna….” “E come vorrei trovartela”, penso, senza dirglielo.
L’ennesima delusione d’amore lo ha fatto proprio soffrire. “nessuna mi vuole, nonna, nessuna mi vorrà mai…” Povera stella, penso, mentre lo stringo al mio petto, gli accarezzo il viso e i capelli, cerco di confortarlo, quanto vorrei dimostrarti il contrario….
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Stiamo andando a un matrimonio di un familiare. Fuori città, ci fermeremo tutti a dormire in hotel. Mio genero guida, mia figlia sonnecchia sul sedile davanti, io e Marco siamo dietro.
È già buio fuori, in auto c’è silenzio. Marco seduto accanto a me sul sedile dietro sembra che insegua i suoi pensieri. Ma ho visto che spesso il suo sguardo è andato sulle mie gambe. Ne sono lusingata, come lo sarebbe ogni donna. Le muovo e le accavallo. La gonna sale. Le scopre. Lui non perde un movimento. Puoi anche fargli vedere il reggicalze, mi dico, che c’è di male, questo ragazzo si deve svegliare….
Avvicino le labbra alle sue orecchie e gli sussurro: “Ma che guardi?” “N..n..niente, nonna”, è la ovvia, ma bugiarda, risposta.
“Ti piacciono le mie calze?”, insisto, provocatrice. Gli prendo la mano, la guido sulle ginocchia, poi sulle cosce. Lascio che gonna e soprabito vi ricadano sopra per nasconderla. Mio genero è assorto nella guida, mia figlia, sua madre, dorme. E Marco continua il viaggio con la mano che accarezza le mie gambe…..
Il matrimonio è noioso come tutte le cerimonie. La folla di parenti mi da la scusa per evitare Marco. Lo guardo ogni tanto, a distanza, solo, un po’ incupito, non simpatizza con nessuna delle altre ragazze presenti. Peraltro tutte brutte o insipide. Loro.
La festa è finita, tutti salutano e vanno via. Noi siamo troppo lontani per rientrare in nottata. Ci hanno riservato una camera in albergo. Una per mia figlia e mio genero, Marco ha la sua, io la mia.
Quando entro, mi sdraio un attimo, a riposare e ..pensare.
Gli scrivo un messaggio: “Marco, tesoro, non riesco a prendere sonno, mi ci vorrebbe una boccata d’aria. Ho paura però da sola a quest’ora. Mi faresti compagnia? Tra dieci minuti giù nella hall?”
Ovviamente risponde di sì. Ma io faccio passare, dieci, poi quindici, poi venti minuti. Alla fine gli scrivo di nuovo, un nuovo messaggio: “ho cambiato idea. Sono stanca. Vieni a trovarmi in camera?”
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Quando bussa gli apro subito. Sbarra gli occhi nel vedere sua nonna accoglierlo in sottoveste. Da quel che è accaduto in macchina in poi non capisce più cosa stia succedendo. Lo faccio sedere sul divanetto che c’è in camera. Sufficientemente piccolo da stargli praticamente addosso. Gli prendo il viso fra le mani, lo costringo a guardarmi negli occhi. “Volevo stare un po’ sola con te” gli dico. Gli faccio appoggiare il viso sul seno. Prendo la sua mano e, stavolta, la guido decisa, non più solo sulle gambe, ma proprio in mezzo alle cosce.
“Pensi sempre che sia bellissima, tesoro?” Un suono strozzato esce dalla sua bocca, a metà fra un sì e un singhiozzo di timidezza.
“Non è vero che nessuna donna ti vuole, amore.” Lo bacio delicatamente sulle labbra. “Ti mostrerò io come ci si comporta con le donne, tesoro. Ti insegnerò io….come si fa l’amore….”
Lo porto sul letto dove si fa spogliare docilmente. Accarezzo il suo corpo. Solo al momento di abbassargli gli slip, il pudore lo trattiene, mi prende il polso. Ma non basta certo questa timida resistenza a fermarmi. Adesso è nudo, e gli accarezzo il pene, duro, grande.
Salgo su di lui mettendomi a cavalcioni. Accarezzo sensualmente il suo petto, i suoi capezzoli, lo sento fremere sotto di me. Mi abbasso su di lui. Quando lo sento penetrarmi mi scappa un gemito di piacere. “Accidenti, nipote, le ragazze di oggi non capiscono proprio niente….” , penso.
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libero-de-mente · 1 year ago
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Un sabato sera dai minuti contati questo.
Raggiunta casa di mia madre, entro in silenzio e come immaginavo lei è già a letto. Le chiudo la porta della camera per non disturbarla, mentre sistemo la spesa che le ho fatto, controllo nel frigorifero le confezioni di alimenti scadute. Le rimuovo buttando il contenuto negli organici.
Lei puntigliosa su queste cose, ora non le riesce più di controllarle.
Un rapido riassetto alla casa, ma non le metto a posto tutto. So quanto ci tenga a dimostrare di saperci ancora fare con le pulizie, diciamo che pulisco dove c'è da spostare o alzare qualcosa di pesante.
Mi giunge la telefonata di figlio 2 "Papà ci sono le pizze da infornare, sai che dopo devo uscire".
Mi avvio a casa, dopo aver avuto cura di sistemare le medicine dentro il porta pillole settimanale, in modo che mia madre non sbagli.
La frase di mio figlio "...sai che dopo devo uscire" era incompleta.
La verità è che lo dovrò accompagnare io. In auto raccogliendo tre suoi amici.
Le pizze sono uscite molto buone questa sera, forse la pioggia che insiste me le farebbe gustare meglio se Gabriele non uscisse. Se ancora per un sabato sera fosse il mio scricciolo a casa. Ma non sarebbe giusto per lui.
Appuntamento sotto lo stadio cittadino, poi seconda stella a destra, questo è il cammino, e poi dritto fino al mattino, poi la strada la trovi da te, porta a una pensilina dove c'è un altro amico per voi tre. Anzi quattro, maledetta rima.
Li ascolto parlare, mi fanno sorridere e anche ridere. Non hanno nulla che non vada bene. Sono ventenni con la voglia di vivere e divertirsi. Lo ero anche io. Forse non sentendomi mai amico al pari degli altri.
Tipo strano "il Rino", sempre assorto e spesso assente.
Li lascio alla pensilina concordata dove il quinto amico li aspetta, e si fanno i nomi di altri che arriveranno più tardi. Forse.
Li saluto, Gabriele inaspettatamente mi saluta baciandomi. "Non ti preoccupare pa' sarò bravo e starò attento, come vuoi tu".
Non ho nulla da obiettare, riparto. Alla prima rotatoria inverto il senso di marcia, un'ultima occhiata a qui sorrisi, a quella complicità di amici che legano le proprie vite in un patto di sangue, di quelli indissolubili che se ben curate, come relazioni, potrebbero durare davvero a lungo.
Nel mio ritorno solitario penso alle mie amicizie perse, al fatto che mi sento solo ed estraneo anche in mezzo ad altre persone.
Ho sempre pensato che la mia vita non avesse un senso, ma un senso l'ho trovato. Sono i sorrisi dei miei figli, la gioia dei loro successi, gli occhi innamorati di chi sceglieranno come persone con cui condividere la vita.
Questo non me lo voglio perdere. Mi madre e mio padre queste cose non le hanno mai viste. Mai. Io le voglio assaporare.
E mentre alla radio passa il brano "I love my life" di Robbie Williams, le sue parole:
I love my life
I am wonderful
I am magical
I am me
I love my life
Mi squarciano il cuore, e la pioggia è come se battesse direttamente sui miei occhi, e non sul parabrezza.
Sono solo, ovvero mi sento solo, ma dovrò aspettare. Aspetterò i successi e le gioie dei miei figli, prima di mollare.
Piove, vedo centinaia di ragazzi che si avviano alla discoteca.
Poco dopo incontro le ragazze sfruttate per dare del sesso a pagamento sui bordi delle strade.
Vorrei fermarmi, dare loro una coperta che le ripari, qualcosa di caldo da bere e la possibilità di dire loro: vai, sei libera. Puoi fare altro nella tua vita, perché hai forza di volontà da vendere.
Solo durante questi pensieri mi accorgo che in radio passa Sweet Disposition un pezzo che trovo meraviglioso dei The Temper Trap
A moment, a love
A dream, aloud
A kiss, a cry
Our rights, our wrongs
A moment, a love
A dream, aloud
A moment, a love
A dream, aloud
Stay there
'Cause I'll be coming over
And while our blood's still young
It's so young, it runs
Won't stop 'til it's over
Won't stop to surrender
Avere la forza, di superare, di aspettare chi è un passo indietro.
Mi sento maledettamente solo, anche se non lo sono. Sto male.
Ma in questo sabato sera i miei figli, chi in un modo e chi nell'altro, si divertiranno. Questo conta. Ne basta uno anomalo in famiglia. E quello sono io.
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tiaspettoaltrove · 8 months ago
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Sei la convinzione fatta persona! Sei più malato di tutte le ragazze di cui tu stesso parli. Ma ti leggi dopo che scrivi? Quanto ci credi? Sei solo un povero sfigato che non riesce a trovare nessuna per quel modo di arcaico di vedere la donna e pensi di far colpo qui con 4 ragazzine che aprono la bocca piene di stupore per 4 minchiate che scrivi.
Non avrai i coglioni nemmeno di pubblicare questa Ask come io non li ho non mostrandomi e rimanendo anonim* . Scelgo l'anon giusto perchè sei così pieno di ego e di te stesso che saresti capace di fare qualsiasi cosa
Facci una cortesia, evapora nuovamente e per sempre.
Eh no, invece mi spiace deluderti: resto qui, pubblico, e ti rispondo anche. Innanzitutto, tutto questo livore è sintomo di una certa insoddisfazione personale: a cosa è dovuto questo tuo malessere? Cosa ti impedisce di accettare l’opinione e la visione della vita degli altri? Andrebbe indagata quest’esigenza di (cercare di) gettare fango su una persona a te sconosciuta, e che personalmente nessun danno ti ha arrecato. E poi, suvvia, anche qualora ti fossi mostrata col tuo vero profilo non avrei fatto alcunché. Mi hai disegnato come un ‘ndranghetista! Rido. Gli asterischi puoi tranquillamente metterli dove ritieni più opportuno, ma la lingua italiana è un’altra cosa. Ed è molto piacevole leggerla, nella sua forma più corretta. I miei testi, logicamente, li rileggo sempre prima di pubblicarli. Anche più volte. Semplicemente perché ho più rispetto del mio pubblico, di quello che hai tu. A quelle che definisci “4 ragazzine”, sento di voler dedicare il meglio che posso. Ovvio, non tutte lo meritano, ma qualcuna c’è, c’è sempre. Quindi, non capisco bene dove col tuo appunto tu voglia andare a parare. Cosa dovrei pensare? Che sei invidiosa? Gelosa? Non vedo come e perché possa e debba darti fastidio ciò che narro in questo mio piccolo blog. È la mia vita, come tu hai la tua. Di malattie al mondo ce ne sono tante, e onestamente tirarle in ballo abbastanza a casaccio è una mancanza di rispetto per chi è malato veramente, se vogliamo metterla su questo piano. E io non sono affatto perbenista o politicamente corretto, anzi, ma mi limito a ribaltare il discorso per far luce su aspetti che certamente ti sfuggono. Hai mai pensato che possano esserci ragazze che, addirittura, possano trarre giovamento dalla lettura dei miei pensieri? Perché in alcuni casi, cara mia, è proprio ciò che accade. E lo so non perché l’ho sognato di notte nel silenzio più assoluto, ma perché mi è stato fatto presente. Eppure, tu, queste ragazze le definisci pateticamente e banalmente “malate”. E di conseguenza ritieni me ancor più malato perché, nella tua astrusa mente, io evidentemente le travio e corrompo. Quel “modo arcaico di vedere la donna”, è esattamente quel modo che ci ha permesso di arrivare fino a qui. Sì, anche a te. Per te è sbagliato? Va bene, qual è il problema? Per me invece è giustissimo e inevitabile e, paradossalmente, proprio tu lo dimostri. Che poi voglio dire, non vivo su Marte. E se un po’ questo blog l’hai “sfogliato”, lo avrei notato che mi chiamo “Ti aspetto altrove” proprio per questo motivo. Ovvero perché so che in questo mondo non è possibile trovare ciò che cerco. Non lo è più, quantomeno. E accetto questa sorte semplicemente con grande forza e maturità, isolandomi nella mia vita privata, professionale, e di tanto in tanto in questo piccolo spazio che (anche grazie a te) mi regala delle soddisfazioni. Perché quando si colpisce nel segno, ricevere “critiche” è la più diretta e naturale conseguenza. Non sono pieno di ego, sono solamente una persona che dopo tanti anni ha imparato a rispettarsi e volersi bene. E non sono nemmeno “la convinzione fatta persona”. Ho coltivato a fatica e nel tempo una buona autostima che mi accompagna nella vita di tutti i giorni, frutto di una grande introspezione che a tutt’oggi continua quotidianamente. Sono un povero sfigato, dici? Eppure vedo che sei stata tu, a voler sprecare tempo ed energie scrivendomi un messaggio anonimo senza capo né coda. Pensa che in quei pochi minuti avresti potuto uscire a prenderti una boccata d’aria, riflettere su un nuovo obiettivo per la giornata di domani, o dare un bacio alla persona amata. E invece, beata ingenuità, hai creduto di potermi ferire dandomi piuttosto la possibilità di emergere ancora una volta di più. Di risplendere, quindi. E sto sorridendo, mentre scrivo ciò. Perché vedi, se una sconosciuta qualsiasi pensa di poter arrivare qui e distruggere la mia corazza, be’, direi che sta sbagliando tutto. Ma grazie di cuore, per avermi permesso di farmi apprezzare ancora di più da quelle “4 ragazzine”. E ti salutiamo tutti assieme con la manina e un sorrisetto.
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muffa21 · 6 months ago
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Ieri sera sono stato all'Alcatraz. Non capisco molto di questo genere di musica, ma credo che tutta la fauna milanese appassionata di Techno aspettava l'evento da un anno, come quello più importante in assoluto della stagione. È stato come andare alla prima della Scala, ma agli antipodi per quanto riguarda lo stile musicale e il genere di invitati che ti aspetteresti ad ascoltare la Tosca in religioso silenzio.
Siamo entrati al tocco della notte e subito le droghe hanno fatto la loro selezione naturale. Ragazzi e ragazze che s'aspettavano troppo dalla serata, e non hanno saputo gestire l'ansia da prestazione sono cascati come birilli dopo le prime note. Sono rimasti così gli esperti del settore, i premi nobel dell'Md e della musica selvaggia proveniente direttamente dalla consolle di questi dj, evidentemente famosissimi, che hanno mosso i loro primi passi nella lande metanfetaminichendella Berlino ovest dei primi anni Novanta (non a caso la serata si chiamava Der Techno).
Io sono rimasto sobrio come un bicchiere d'acqua distillata. Mi sono concesso solo due morettone ipa a 10 euro ciascuna. Ammetto che la seconda l'ho presa solo per rivedere il viso della barista, una delle donne più belle che ho avuto il privilegio di potere guardare.
Ma ritornando alla gente presente alla serata... gli uomini avevano spalle grosse come portaerei, ogni addominale scolpito con la precisione maniacale di un cesellatore di mosaici, tutti a petto nudo e sudati come cavalli del palio di Siena. Le donne erano un tripudio di muscoli guizzanti e abiti che potevano benissimo restare negli armadi, dato che non servivano a coprire nemmeno le pudende. A un occhio poco attento poteva sembrare che queste creature eteree e bellissime avessero impiegato dieci minuti per mettersi addosso un pietoso velo di stoffa e uscire. Ma sapevamo tutti che il loro stile era ricercato fino al minimo dettaglio, dall'acconciatura, al numero di borchie che dovevano ricoprire il seno destro, al tipo di smalto che doveva colorare l'ultima unghia del piede sinistro.
Ma nelle donne tutta questa ipersessualizzazione, sapevo, da bambino abusato, in molte di loro era una risposta agli stessi traumi subiti da me. Il dolore lo si affronta o tacendo e digrignando in silenzio i denti o urlando fino a che la gola ti diventa un'unica macchia rossa e infiammata, che come una luce al neon dice solo guardatemi.
Non tutte, spero, avevano subito abusi sessuali ( molestie sì, tutte. le ho viste reiterarsi anche ieri sera purtroppo) ma la tristezza che mi accompagnava nel guardarle, bellissime e dannate, è stata quasi catartica.
Ho rivelato ai miei due amici, dentro un mccafè, alle sei del mattino, cosa ho subito da piccolo e perché avere ricevuto un piedino sotto al tavolo la sera prima è stato per me un evento epocale (io che inizio a inculare simbolicamente il mio abusatore). E ho rivelato questo arcano del mondo femminile delle molestie, dell'abuso, del tacere e dell'urlare.
Spero che abbiano capito. Io ho solo provato a dare loro un piccolo strumento per capire meglio il dolore di alcuni esseri umani. E che come sempre l'apparenza non solo inganna, ma copre. Perché sotto c'è una ferita che a vederla farebbe fermare gli orologi del mondo.
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failvillain · 20 days ago
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comunque io sono stanca di stare in silenzio.
odio questo megatrend delle cantanti pop italiane femminili che scelgono il loro nome di battesimo basico come nome d'arte.
non ne posso più. Anna. Giulia. Emma. Gaia. Lucia. Giorgia. Annalisa. Elisa. Chiara. Nicol.
mobbasta però ragazze non so chi cazzo siete lo volete capire. un po' di creatività nei nomi vi prego. Non so chi cazzo sia Anna ne conosco 17 nella mia vita. nessuna di voi è Rihanna la possiamo smettere immediatamente
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turuin · 7 months ago
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Day 17
Giorno 17 - ieri.
Totale caffè bevuti, 2. Mi auto-applaudo: con il livello dei pasti di ieri e con la macchinetta sempre a disposizione, questo è un risultato nel risultato.
Trattandosi di un pranzo di compleanno per mia figlia, eviterò di fare il solito resoconto (a ciò basti una delle frasi più belle della lingua italiana tutta, e cioè: pasta al forno). A cena, in ogni caso, abbiamo finito quello che era rimasto dal pranzo.
Ho pregato mia madre di reintegrare qualsiasi genere di verdura da oggi in poi, di già perlomeno si è messa a preparare delle zucchine per la pasta.
La torta SG era molto buona e merita un piccolo aneddoto.
Avevo ordinato questa torta già durante il viaggio di arrivo, ed il forno che l'ha preparata mi aveva dato appuntamento ieri, a mezzogiorno, per ritirarla. Naturalmente mezzogiorno era più da vedersi come una indicazione di massima, un suggerimento, che non un vero e proprio appuntamento; e per fortuna sono andato a ritirarla da solo, senza la milanese che altrimenti avrebbe iniziato a sbuffare e piantare casini. Io invece ho detto al personale che non c'era problema: hanno chiamato il pasticcere che ha dato un tempo d'attesa di mezz'ora, per cui ho deciso di andarmene a fare un giro. Ne ho approfittato per andare a visitare la tomba di mio padre e metterci qualche fiore fresco, scambiarci due parole in silenzio, immerso nella pace unica che solo un cimitero d'estate può trasmettere. Torno al forno alle 12:35 abbondanti, ancora nessuna consegna: le ragazze, molto imbarazzate, chiamano il titolare, che sta arrivando. Si scusano profusamente. Mi offrono un succo di frutta, nonostante le mie rassicurazioni (sarebbe stato un caffè ma, visto? Non ho trasgredito alla regola) e quando, infine, il titolare arriva, mi offre uno sconto sul prezzo vista l'attesa - ancora una volta, nonostante io gli avessi detto (e sinceramente) che non era necessario. E lo credo tuttora: era 14 di agosto per tutti, specialmente per loro che dovevano fare fronte a un numero eccezionale di consegne. Però ho apprezzato molto il gesto, e la cordialità dei titolari, e ho pensato che forse preferisco un mondo che arriva un pelo in ritardo sulle consegne ma che non risparmia qualche sorriso e del calore umano. Ovviamente la mia coniuge mi aveva già mandato dei messaggi nei quali esprimeva il proprio lombardo disappunto per questa gente che non rispetta gli appuntamenti dati, ma che ci volete fa'... è calabrese anche lei, sotto sotto, e sono sicuro che prima o poi abbraccerà il suo retaggio. Pranzo con i fratelli, le nipoti etc. Riflessione: la mia famiglia è perennemente settata sul livello 11 in una scala da uno a dieci, su qualunque interazione. Ormai riesco a prenderli solo a piccole dosi, estraniandomi dagli infiniti duelli in punta di spada e di fioretto che si scatenano ogni cinque minuti e per - letteralmente - qualsiasi motivo. Mi porto dietro anche questa eredità genetica che cerco di combattere giorno per giorno, conscio però che venga fuori tutta, e bella prepotente, ogni volta che decido di duellare anche io. Per fortuna, non succede troppo spesso: ho sempre l'idea del buon Miyamoto Musashi che cercava di combattere solo battaglie nelle quali fosse possibile avere un vantaggio sull'avversario (e se pensate che sia disonorevole, dovreste investigare un po' della storia della sua vita: è illuminante).
Oggi niente mare per evitare calca e caldo, forse pomeriggio al cinema, per far vedere Inside Out 2 ai nanetti.
Mi godo la brezza incessante della città del vento che passa, come ha sempre fatto, dal salotto alla cucina di casa mia.
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empito · 2 months ago
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Le ragazze si scattano continuamente foto perché sono belle, semplicemente. Catturano in uno scatto la luce che danza sui loro volti, l'ombra leggera delle ciglia sulle guance, il sorriso che sfiora appena le labbra. Non è vanità, è desiderio di fermare un istante, di trattenere il tempo che sfugge come sabbia fra le dita. Ogni fotografia è un frammento di vita, un ricordo che un giorno guarderanno con occhi velati di nostalgia. Perché la bellezza è effimera, ma l'immagine rimane. Con un gesto rapido, immortalano il battito del cuore, la risata improvvisa, lo sguardo che brilla al sole. Le ragazze sanno di vivere un'età sospesa, in bilico tra sogni e realtà. Le loro foto raccontano storie che ancora devono scrivere, speranze che coltivano in silenzio. Così, dietro ogni autoscatto si nasconde il desiderio di essere viste, comprese, amate. Non è solo il volto che mostrano, ma l'anima che traspare attraverso gli occhi. Cercano se stesse in quei riflessi, esplorano le sfumature della propria identità. Scattare una foto è un modo per dire: "Eccomi, sono qui, esisto". E mentre il mondo corre veloce attorno a loro, le ragazze fermano il tempo con un click. Non per essere ricordate dagli altri, ma per non dimenticare se stesse. Perché un giorno, riguardando quelle immagini, possano ritrovare il coraggio, la gioia, la semplicità di quel momento. Le ragazze si scattano continuamente foto perché… la vita è un mosaico di istanti preziosi, perché la bellezza non è solo nell'aspetto ma nell'essenza che sanno cogliere. E in fondo, scattare una foto è come abbracciare il tempo, sfiorare l'eternità con la punta delle dita. Così, continuano a sorridere all'obiettivo, a giocare con le luci e le ombre, a esplorare il mondo attraverso il proprio sguardo. E ogni foto è un pezzo del loro viaggio, una traccia del cammino che le conduce verso il domani. Le ragazze si scattano foto perché sono belle, semplicemente. E perché in quella bellezza c'è tutta la forza, la fragilità, la speranza di chi sta imparando a conoscersi, a vivere, a sognare.
Empito
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davidewblog · 2 months ago
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A volte una battuta detta per scherzare ha molto più significato di quello che sembra. Ci ho pensato dopo una piccola cosa che è accaduta ieri sera.
Praticamente eravamo a cena, io e le studentesse che abitano con me, c'eravmo tutti e quattro. Come sempre, la sera, un po' stanchi, parliamo un po' a vanvera di tutto, senza seguire nessun filo particolare.
Ad un certo punto il discorso, non so neanche io come, è andato a fiire sui seni delle ragazze, e fin qui tutto normale: le mie coinquiline parlano spesso dei loro corpi e dei loro seni, per mille motivi. A volte perché vedono difetti dove non ne hanno, altri giorni, in cui hanno più autostima, per vantarsene e scherzarci. Abitando con delle ragazze ho imparato a capire quanto questi discorsi sono normali per loro.
Comunque, questo discorso è andato avanti ed è andato a finire sul seno di Violetta, al che, le altre due coinqiline, per ridere, hanno iniziato a dirle di mostrarle gridando in coro "Escile, escile". Violetta non lo ha fatto, e ha detto, come battuta: "Guardate che qui l'unico che può vedermi le tette è Davide".
Era tutta una semplice battuta, detta per gioco in una cena qualunque, però mi ha fatto riflettere. Ovviamente non era del tutto vero, cioè, è vero che lei ormai mi mostra il seno nuvo con disinvoltura e senza mettersi problemi, però non è vero che non lo mostra alle altre coinquiline, anzi, fra ragazze lo mostra ancora di più e a loro si mostra anche completamente nuda senza mutande, quindi non era questo: quando ha detto che gliele vedo solo io era per ridere.
Però mi ha fatto riflettere lo stesso, perché in fondo era la prima volta che, seppure per gioco, parlava apertamente davanti alle altre coinquiline che io le posso vedere il seno nudo. Era già successo che me lo mostrasse in loro presenza, forse una volta sola, perché di solito lo fa quando siamo soli io e lei, ma lo fa in silenzio e senza dire nulla. Sentirglielo dire mi ha davvero stupito positivamente ed emozionato.
Anche se scherzava, dicendolo ha dato per ovvio che le altre compagne di casa sapessero già che lei ha questa particolare confidenza con me per cui si mostra a seno scoperto non una ma tante volte, con normalità.
A volte una battuta in un momento in cui si è un po' inebriati dalla stanchezza di fine giornata, serve per sbloccare qualcosa che era sempre rimasto bloccato, ed è stato così. Questa cosa per me è importantissima, non so bene neanche io perché, ma lo è, davvero.
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nonna-tutto-okay · 2 months ago
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Day 1
Arrivati al monastero, quello che vedo è straordinario. Uno spazio circondato dalle montagne, perfettamente curato, verde e tranquillo.
Poco distante un centinaio di persone in abiti bianchi. Stanno camminando in fila, molto lentamente. Così lenti che a guardarli da lontano sembrerebbe che siano immobili. Mi viene subito in mente ciò che Emmanuel Carrère descrive nel suo libro “Yoga” in cui racconta, tra le mille altre cose, anche l’esperienza del ritiro Vipassana.
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Il pomeriggio è trascorso velocemente e mi sono sentita immensamente serena ed emozionata per ciò che succederà nei prossimi giorni.
Oggi ho conosciuto quasi subito una ragazza in particolare, J., un raggio di sole argentino con cui da subito capisco di condividere molto.
Il Monastero ha delle regole (in foto solo alcune) che ci hanno illustrato appena arrivati. Inizialmente mi è sembrato molto rigido ed ero un po’ titubante…non sapevo nemmeno se potevo camminare sull’erba o sedermi allo stesso tavolo di un uomo.
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Dopo essermi confrontata con alcune ragazze e aver ascoltato la presentazione del Monastero da parte della mitica volontaria della reception (una signorotta tedesca che parla inglese sforzandosi di riprodurre un accento thai, boh!), ho ridimensionato il tutto. Anzi, effettivamente in confronto ad altri monasteri questo sembra molto bilanciato e permette di stare in silenzio a chi lo desidera, di meditare moltissime ore al giorno (vedi il programma che segue :D) e far sì che ognuno viva l’esperienza a suo modo.
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Alcune peculiarità e rinunce che mi aspettano:
il letto non esiste, si dorme in una camerata con altre 20 ragazze letteralmente per terra, con un materassino spesso 2cm.
Nella nostra stanza vive un topo, che si aggira con gioia e cerca cibo. Oltre al numero infinito di formichine e altri amici della foresta.
Sveglia alle 5:00 IN TEORIA, ma ho il presentimento che la morning meditation in my room verrà sostituita da un pisolotto.
Due pasti al giorno, il primo alle 7 del mattino e l’ultimo alle 11. Vedremo.
Alle 18:00 ho partecipato, insieme alle 150 persone che alloggiano nel Monastero, al momento dei canti e della meditazione serale. Cerco sempre di ritagliarmi un piccolo spazio ogni giorno per fare un po’ di cosiddetta mindfulness, fare un il punto della situazione e riconnettermi. Non si può certo dire però che io sia abituata a meditare ore ed ore quotidianamente, quindi considerando ciò sono riuscita a vivermi serenamente anche i pensieri che a volte arrivano, accogliendoli e osservandoli.
Nei prossimi giorni chiederò il “silent badge”, per provare a ridurre al minimo le parole, per lo meno quelle con gli altri.
Seguono altri aggiornamenti, baci!🍕🍕🍕
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footfetishcult · 6 months ago
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"Ferdydurke".
"Il fatto stesso che la ragazza avesse una camera tutta sua e dormisse in un angolo del soggiorno era già di per sè fonte di fascinose ed inebrianti suggestioni. Suggeriva la provvisorietà caratteristica del nostro secolo, il nomadismo delle liceali e un certo quel carpe diem che, per vie segrete, si collegava alla natura facile, modellata sull'automobile, della gioventù contemporanea. Faceva pensare a una ragazza che si addormenta all'istante, appena posata la testolina (occhietti non si poteva più dire, ma testolina ancora sì) sul guanciale, il che a sua volta faceva pensare all'intensità, al ritmo frenetico della sua vita odierna. (...) In realtà la liceale non dormiva in privato ma in pubblico, non possedeva una vita notturna privata, e questa dura assenza di privacy l'appartentava all'Europa, all'America, a Hitler, Mussolini, Stalin, ai campi di lavoro, agli accampamenti militari, agli alberghi, alla stazione ferroviaria, creava uno spazio sconfinato escludendo la possibilità di un angolino privato. Le lenzuola, nascoste nel divano letto, avevano un carattere accessorio, erano un'appendice del sonno e nulla più. Del tavolino da toilette non c'era traccia. La liceale si guardava in uno specchio a parete. Niente specchietto a mano. Accanto al divano letto un piccolo tavolino nero, da studentessa liceale, con libri e quaderni. Sui quaderni una limetta da unghie, sul davanzale della finestra un temperino, una stilografica a buon mercato, una mela, un programma di manifestazioni sportive, una foto di Fred Astaire e Ginger Rogers, un pacchetto di sigarette, uno spazzolino da denti, una scarpa da tennis con dentro un fiore, un garofano buttato lì a caso. Nient'altro. Che modestia, e che forza! Mi soffermai in silenzio sul garofano. Non potei impedirmi di ammirare la liceale. Che artista! Con quel fiore nella scarpa prendeva due piccioni con una fava: da un lato insaporiva l'amore con lo sport, dall'altro condiva lo sport con l'amore! Mica aveva buttato il fiore in una scarpa qualunque: aveva scelto apposta una scarpa da tennis intrisa di sudore, ben sapendo che solo il sudore sportivo non danneggia i fiori. Associando il sudore sportivo al fiore suscitava simpatia per il suo sudore in generale, gli aggiungeva un non so che di fiorito e di sportivo. Che maestra! Mentre le ragazze all'antica, ingenue, banalotte coltivavano azalee in vaso, lei i fiori li buttava nelle scarpe, nelle scarpe da tennis! E magari, brutta carogna, l'aveva anche fatto così, senza pensarci, per puro caso!"
"Ferdydurke", Witold Gombrowicz, 1937.
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soysaucecaramel · 1 year ago
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Il sole è tramontato
Un altro giorno senza il suo amato
Un altro giorno oscurato
Da questa immane
Solitudine.
E la Luna
La piu bella dell'anno
Si è messa in tiro per san valentino
Sperando di scorgere il suo amato.
La luna, la più bella del creato.
E Io. Solo come il sole.
E lacrime di sale il mio spirito piange
E sospira
E aspetta
Aspetta
Notte
È notte e la luna non si vede
La sua melamconia l'ha distrutta
E nella sua mente
S'è ritirata.
A sentire ogni lamento,
Ogni desiderio,
Ogni pianto di un innamorato
Si è eclissata
E la notte è scura.
Così scura che è accecante.
Accecanti sono i lampioni
Accecanti i fari delle auto
Accecanti le stelle
Accecanti i cellulari
Assordanti i silenzi
Assordanti i clacson
Assorsanti le canzoni
Assordanti i pensieri
Assordanti le parole
Queste parole come una cascata,
Un buco nero delle mie emozioni,
E san valentino un bimbo malvagio
Che nella sua notte distrugge i timpani,
E colpisce gli occhi, ma forse
Forse
Forse non e colpa sua di queste lacrime
Ed ecco che noto una ragazza
Una delle tante che ho visto oggi
Che in mano tiene una singola
Pallida rosa.
Che tenera scena
Una ragazza che tiene una rosa,
Tiene l'amore,
Tiene il cuore in mano,
E torna a casa
Sola.
Cos'è una rosa di fronte alla solitudine.
Cos'è un amore senza baci rubati,
E ridere fino alle lacrime
Insieme.
E ho visto più ragazze sole con una rosa
Che insieme ad un ragazzo.
E ho visto rose con più compagnia
Di ogni uomo sposato.
Ecco. Io sono quella ragazza.
Non avrò una rosa ma condivido
La solitudine,
Il silenzio,
La paura.
Nei nostri sguardi c'è intesa.
Io non sono io,
Io sono lei,
Io sono quel ritorno a casa
Quell'umiliazione,
Quella vita che ti ha preso troppo
E che quel giorno ti lascia
Sola.
Io sono quella vita.
Io sono la rosa.
Io sono amore
Con le spine.
Io non ho amato ma cazzo
Io sono amore.
Sono amore che straripa
Sono desideri d'amore.
L'amore mi pervade
Mi riempie il cuore
Di battiti e gli occhi
Di lacrime.
Cazzo io sono amore
Sono pura energia
Sono un silenzio
Un grido
Sono le luci dei bar
I posti vuoti
I posti pieni
Sono la luna e il sole
Sono le stelle
Milioni di stelle
E tutte insieme nelle costellazioni.
Per fortuna che l'uomo ha avvelenato il cielo.
Ha nascosto il firmamento
Così che non mi possa esplodere il cuore
Per questa maledetta solitudine
Perché anche le stelle sono insieme
E io no.
Non sono insieme a nessuno
Non sono insieme a me stesso
Mi guardo e non mi riconosco
Io sono amore ma non amo nulla
E se valentino mi facesse il favore
Di trafiggermi il petto
E indirizzare questo amore verso qualcosa
Verso qualcuno allora mi sentirei meno solo.
Se le mie lacrime versate fossero su un cuore infranto
Allora mi sentirei meno solo
Se questi sospiri fossero sospiri d'amore allora
Mi sentirei meno solo
Se queste lotte fossero lotte d'amore allora
Mi sentirei meno solo
Se questa fottuta solitudine la passassi con una rosa in mano allora
Mi sentire meno solo
Se solo Dio mi vivesse nel cuore allora
Mi sentirei meno solo
Meno solo...
La ragazza scende dal bus
Si dirige a casa e scrive a se stessa un messaggio
Se tu fossi qui, mi sentirei meno sola
Ma lui non c'è
La Luna se n'è andata.
Ha lasciato il firmamento
Sperando di sentirsi meno sola.
Ha donato se stessa sperando di sentirsi
Meno sola.
Ma io me stesso lo darei
Tutto
Venderei le mie passioni per delle fiamme che mi incendino,
Venderei i miei amici per degli stronzi per cui morire,
Venderei il mio cuore per amare qualcuno
Che mi sbrani,
Venderei il mio corpo per sentirmi immondizia,
Per sentirmi pura follia,
Venderei queste parole per impazzire di fame
Di sete, di paura
Il sole sta sorgendo
E forse
Forse
Nel vedere la sua solitudine
Mi sento meno solo.
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canesenzafissadimora · 2 years ago
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Non lo posso sopportare che due persone non si parlino.
Che non si parlino più. Un uomo e una donna che si amavano per giunta. Gente che si scambiava telefonate roventi o anche solo appassionate durante la notte sbancando i centralini poco tempo prima. Non lo sopporto.
Che mancanza di curiosità, di sensibilità, che buio, che cecità, che vera decadenza.
Qualcuno si trincera dietro un silenzio ottuso, altri (altre) non danno notizie di sé forse confidando nell'antico, nefasto effetto dell'assenza che è una vera aggressione. Bisogna aver molto amato una persona per diventarne nemico a tal punto.
Siamo un antico popolo di scaltri diplomatici, nessuno quanto noi è maestro nell'arte della mediazione, del conferire pesi differenti alle parole a seconda delle circostanze; siamo farmacisti, siamo alchimisti. Però, che meraviglia!
E invece no; tentiamo tristi braccio di ferro, ostentiamo indifferenza e fingiamo durezza, siamo inclini alla fuga, alla vigliaccheria, all'allontanamento.
No, è necessario parlare, anche quando le idee si fanno confuse (è di rapporti d'amore che stiamo trattando), quando si diventa differenti da noi stessi, peggiori, e non ci si riconosce più.
Anche quando si ritiene che “qualcuno” ci abbia rapinato, scippato il nostro sentimento, le idee migliori, i segreti e la vita, tutto. Eh no, cazzo! Bisogna riprendere in mano quei telefoni, volare ancora in macchina di notte da una città all'altra, se necessario, a combattere la mediocrità del silenzio, l'astio, l'orgoglio, la convinzione di avere in tutto ragione.
Ragione di che!? L'amore è sangue che scorre e che gonfia muscoli e vene, chi se ne frega dell'orgoglio, eppoi tutto finisce da sé senza bisogno che noi uomini e donne poveri diavoli ci diamo tanto da fare per squilibrare i pesi di quello che davvero vogliamo e sentiamo. Non si mettano contro, non diventino nemici almeno quelli che si amano (e lo sanno), non perdano tempo, non peggiorino e non diseduchino se stessi; abbiamo già fin troppe battaglie se non vere e proprie guerre da combattere fuori di noi stessi, nel mondo di tutti i giorni.
Basta una telefonata notturna, una sorpresa, anche solo una parola, basterebbe una breve lettera se fossimo ancora capaci di scrivere e non lo siamo.
Un atto di ragionevolezza, un atto di umiltà, sarebbero così necessari. Sarebbe forse vero coraggio. Viviamo invece di atti di orgoglio, cioè di rinuncia; ci chiudiamo da soli alle spalle la porta della nostra cella e per maggior sicurezza ingoiamo la chiave.
Che stupidi, basterebbe parlare. Uomini e donne intendo, ragazzi e ragazze, in ogni tempo e luogo, in qualsiasi circostanza e senza reticenze né giustificazioni.
Non lo posso sopportare che due persone non si parlino.
Almeno quelli che si amano (e lo sanno) facciano qualcosa.
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Ivano Fossati
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immensi-vuoti · 2 years ago
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Ed è in sere come queste che vorrei riuscire a chiudere gli occhi e sentire soltanto il silenzio della mia camera vuota o il frastuono del via vai delle auto fuori alla mia finestra. E invece sento un gran caos di pensieri, di voci; è un lungo viaggio a ritroso nel tempo, ripercorro ogni singolo momento del periodo più bello e doloroso della mia esistenza. Eppure io non ricordo come si faccia. ‘Com’è iniziato? Com’è che devo fare?’ mi chiedo, ma non so darmi una risposta. So soltanto che dormire è diventato troppo rumoroso e io vorrei soltanto silenzio. Vorrei silenzio e pace. Vorrei fare pace anche con me stessa, perché è da anni che non mi ci parlo più, anni che non mi guardo più, che non mi accarezzo, che non mi difendo. Vorrei soltanto punirmi perché non riesco ad essere la persona che vorrei essere; non riesco ad essere bella come le ragazze che guarda il mio fidanzato, non riesco ad essere intelligente come mia sorella, non riesco ad essere laboriosa come mio padre, non riesco ad essere coraggiosa come mia madre. Eppure non mi interessa se ho un lavoro, non mi interessa se sono simpatica o meno, non mi interessa se la gente ha da ridire sul mio stile. La mia unica considerazione è che sono grassa. Grasso. Grasso ovunque, sul viso, sulle braccia, sulla pancia, sul sedere, sulle cosce, sulle dita delle mani e dei piedi. Vorrei essere sottile da potermi quasi oltrepassare, sottile da potermi chiudere in me stessa e diventare invisibile e invece sono cosi imponente, cosi ingombrante. Lo sono tanto quanto i miei pensieri ossessivi: ‘Non sei abbastanza, non ci riuscirai, inutile che continui a provarci’. Io vorrei solo il silenzio.
-un mio piccolo sfogo
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klimt7 · 1 year ago
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Libri
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[ Un piccolo estratto / 19 gennaio 2024 ]
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Arrivi sul velluto delle parole.
Ho comprato un bel quaderno per poterti parlare. La copertina non ti piacerebbe un granchè. C'è una fotografia azzurra: due ragazze accanto alle loro biciclette, la strada di campagna, una curva dolce, la sera che scende verso un altrove di pioggia estiva. Tu diresti che è un pò leziosa ma non è esattamente il colore di queste parole che scrivo.
Uso una penna a punta grossa, con le note musicali disegnate sul cappuccio bianco. Scrivo per la musica dei tuoi giorni feriti, una piccola musica a inchiostro blu, graffi sul tempo.
A computer non potrei raccontarti. Ma qui sulla carta a quadretti piccoli, le lettere si uniscono, si separano, è un percorso che mette il cuore in gola, pause bianche e istanti di te, il filo di una vita che non sapevo, al tempo dell'unione dei nostri corpi.
Perchè noi facevamo l'amore e io credevo di toccarti nel cuore della vita, e poi me ne andavo, tutto solo, per le strade di Rouen.
Più tardi scendeva la sera, i caffè biondi si accendevano a poco a poco, facili tepori sgranati lungo il sagrato freddo della nuova cattedrale, arco di pietra e cemento gettato su un domani durissimo, dove il desiderio si scontra con il cielo della notte. Restavo lì sul sagrato. Il desiderio blu non poteva reggere nel tepore facile dei caffè. Restavo lì, tra due rive, insieme al tempo svuotato e notturno che da le vertigini.
Non leggerai mai queste pagine scritte in una scuola tranquilla nel vento umido d'autunno.
Forse sono solo per me, per averti ancora un pò, è la prima volta che ti tengo nel mio habitat, la prima volta che arrivi al ritmo del mio passo.
Qui i boschi si infittiscono e ti tengo nella mia vallata tra lo studio e la merenda.  Sei nelle poesie di Cadou che i bambini recitano come una cantilena...
     Ti raggiungerò Helène
     attraverso le praterie
     attraverso i mattini di gelo e di luce...
Imparo a parlarti nel silenzio di una scuola.
Sai non c'è solo l'insolenza della felicità.
Anche nella tristezza, alla fine, tutto sembra facile ed è così semplice, assomigliarsi.
Il mondo si addomestica. Di colpo ne fai quel che vuoi.
La casetta annessa alla scuola era abbandonata da dieci anni. Il sindaco di Saint-Laurent-des-Bois, Monsieur Savy, me l'aveva detto: "Sa per qualche anno abbiamo avuto soprattutto signorine giovani! Tutte sole, in questa casa non si sentono sicure e certo non si divertono granchè. In genere preferiscono abitare a Rouen. Lì possono uscire..."
Era settembre, il primo pomeriggio. La scuola somigliava alle scuole d'una volta, un pò arretrata rispetto al paese, sulla stradina che scende verso la chiesa e il centro. La casa del maestro al piano terra non è molto grande ma c'è un caminetto in ogni stanza.
Ho messo le mie lampade da tavolo, i libri, il calore della chitarra e dei tuoi album.
Nel mio inverno, nel silenzio delle lampade morbide, ti aspetto.
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Te ne sei andata troppo presto. La gente iniziava ad apprezzare cose più leggere.
A nessuno piaceva più, chi si sbranava davanti a loro, le urla acide di disperazione, gli sputi sul niente.
Era il tempo del cioccolato, nella tua cucina con le tendine bianche e rosse. Allora le cucine piacevano, si sta meglio giusto un pò di lato, a margine della felicità, e senza osare dirlo. 
Tu facevi dolci marmorizzati cioccolato e limone, io prendevo la chitarra e le canzoni arrivavano, limone amaro e cioccolato, caldo e freddo, felicità-pazienza.
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Un pomeriggo verrai a scuola. I bambini non saranno sorpresi, ti accoglieranno come una sorella più grande, come un'amica lontana, in un giorno di pioggia nella monotonia autunnale delle aule.
Poserai il mantello su un banco, i tuoi capelli lunghi bagnati diranno le strade attaversate, la frescura dei paesi.
Sceglierai un libro dall'armadio. Noi staremo zitti, perchè tu vorrai leggere una storia, un racconto d'altri tempi.
La storia sembrerà tutta nuova, e la tua voce grave s'innalzerà su di noi come una pioggia dolcissima che si interrompe all'ora di cena. La storia sarà triste, la piccola fiammiferaia, e i sogni di luce bruceranno  la sua vita fragile e bianca. I sogni sono troppo forti, e prenderai Armelle per mano.
Io sarò sguardo, un'ombra nel cuore di quel palazzo d'infanzia. La notte scenderà presto, è già la fine d'ottobre e l'inizio d'un sortilegio blu d'inverno. Porterai la mia classe alla soglia dell'inverno, su sentieri d'altrove.
Ci sarà qualche domanda. Risponderai molto lentamente, quasi a lato della loro attesa.
Loro non conosceranno il tuo paese, forse solo il tuo nome, che ripeteranno, sillabe di mistero, dal gusto di racconto e villaggio sotto la pioggia.
Canteranno per te Tout Bas-Tout Bas, ninna nanna sulle immagini di Andersen, con il capitano di legno che dice :"Passate, prego. Passate!"
Passate, il sogno è là, passate sull'altra riva con l'amica lontana e il suo mantello inzuppato.
Io l'aspettavo, bambino, nelle lezioni di noia, all'ora dello studio. Lei non arrivava mai dormiva nei miei libri, febbre di racconti impossibile dolcezza.
In questa sera d'ottobre sarà là, in fondo al tuo sguardo come una febbre eterna.
Custodisco il tuo nome, che non ti racconterebbe.
La tua morte ha richiuso per me quel nome che non ti  racchiude più, perchè?
Avevo steso il mal di te  al fondo di due sillabe.
Ma tu sei più vaga, un nome leggero che non ti racconta.
Sei tu nell'ombra dei tigli e nelle risate dei bambini, negli sguardi che fuggono dalla finestra, nella freschezza dell'acqua quando c'è Disegno. 
Ho mostrato i tuoi album ai miei scolari, non ho detto che ti conoscevo...
Quando al mattino uscivi per andare a scuola in square Carpeaux, una voce ti chiamava. 
Ti rivedo.
Ti volti, vivace, la cartella sulla spalla. Hai un grembiule ricamato a quadretti bianchi e azzurri. Quel nome, gettato nella piazza d'aprile è il tuo, perchè volti la testa, il caschetto dei tuoi capelli ondeggia, e tu hai i gesti vivi e lo sguardo dolcissimo. Nathalie ti corre incontro. L'aspetti. In equilibrio su un piede solo, ti sistemi la calza, la cartella si china con la tua schiena.
Andate a scuola, laggiù, poco lontano, in un sobborgo di Parigi.
Ci sono grandi silenzi nella mia classe, come il rito dei dettati... Leggo molto lentamente, passando tra le file, talvolta mi fermo.
"Alain, dove sei rimasto? Rileggo per Alain...Punto. Fine del dettato...Scrivo il nome dell'autore alla lavagna..."
Penso un poco a ciò che faccio, durante la prima lettura. Ma dopo... Rileggo una volta per la punteggiatura, un'altra per il senso.
In quel momento, nel silenzio, tutti mantengono una parvenza di serietà, ma le parole se ne vanno un pò più lontano, lungo le vie dell'inchiostro blu.
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Il sabato, dopo la ricreazione delle dieci, ogni scolaro va al rubinetto per riempire il vasetto di yogurt. E' l'ora del Disegno.
Fuori, l'estate sonnecchia ancora  al sole biondo di fine settembre. Dentro profumo di acquerello bagnato. E un pò di trambusto.
"Maestro, posso andare a cambiare l'acqua?"  Tengo la brava infanzia al fondo delle ore dimenticate, quando mezzogiorno non arriva, quando i colori impallidiscono sui fogli inzuppati e i mormorii si spengono.
Tutta l'infanzia è lì.
Fuori, un paese approssimato, niente più grida, niente giochi, i vecchi si parlano lentamente, il tempo sembra più lungo.
Laggiù vicino alla Risle, Madame Dubois stende le lenzuola in un giardino troppo nudo, il tempo non passa.
[...]
Sono da te , questa sera, oltre i paesi, oltre l'oblunga dolcezza delle vallate. La mia vita si addormenta al fondo della tua assenza: mi sono colato addosso questa vallata per tenerti con me, per metterti sulla carta fino in fondo.
Nella pace di un paese e di una scuola, ti imparo.
C'è questo quaderno, su un banco di scolaro; ti scrivo la mia memoria.
Sono qui a metterti per iscritto, a colpi di penna, a colpi di passato: è la mia vita, il riflesso della tua memoria disegnata.
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